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Avvocato Penalista – Filippo Nava

Le implicazioni penali in capo ai tecnici asseveratori

La normativa che disciplina la materia dei c.d. “superbonus” ha introdotto una serie di nuove fattispecie penali, tra cui quella qui in commento delle false informazioni in asseverazioni del tecnico abilitato, di cui all’art. 119, comma 13 bis-1 del D.lgs. 34/2020 come introdotto dall’art. 28 bis, co. 2, lett.a) del D.L. 41/2022.

Ai sensi dell’articolo suddetto, “il tecnico abilitato che, nelle asseverazioni di cui al comma 13 e all’art. 121, co. 1 ter, lett.b), espone informazioni false o omette di riferire informazioni rilevanti sui requisiti tecnici del progetto di intervento o sulla effettiva realizzazione dello stesso, ovvero attesta falsamente la congruità delle spese, è punito con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da 50.000 euro a 100.000 euro. Se il fatto è commesso al fine di conseguire un ingiusto profitto per sé o per altri la pena è aumentata”.

In realtà detta norma non è totalmente nuova, in quanto è stata mutuata dal nostro Legislatore dall’art. 236 bis del R.D. 267/1942 (c.d. Legge Fallimentare), che appunto punisce (parimenti) le false attestazioni del professionista incaricato di redigere le attestazioni e le certificazioni imposte dalla legge per consentire l’accesso delle imprese alle procedure concorsuali della crisi.

Si tratta di un reato proprio, ovvero che può essere commesso solo da coloro che rivestono la qualifica di “tecnico abilitato”, ovvero quel soggetto abilitato alla progettazione di edifici e impianti nell’ambito delle competenze ad esso attribuite dalla legislazione vigente e iscritto a specifici ordini e collegi professionali (in sostanza ingegneri, architetti, geometri, ognuno nell’ambito delle proprie competenze).

Dal punto di vista oggettivo, l’attività tipica in cui è possibile incorrere nel reato in argomento è quella della asseverazione, ovvero (secondo il Decreto Mise del 6.08.2020) la dichiarazione sottoscritta dal tecnico abilitato, ai sensi e per gli effetti degli art. 47,75 e 76 del D.P.R. 445/2000, con la quale lo stesso attesta che gli interventi trainanti che beneficiano dei vari bonus sono rispondenti ai requisiti previsti dalla legge e che i costi sono congrui rispetto ai costi specifici indicati.

Più in particolare, l’attività di asseverazione consiste, quanto al c.d. ecobonus, nell’attestazione dei requisiti tecnici (e relativa congruità dei costi) che devono essere soddisfatti dagli interventi edilizi affinché possano beneficiare delle agevolazioni; quanto al c.d. sismabonus, nell’asseverazione dell’efficacia degli interventi progettuali al fine della riduzione del rischio sismico.

In sostanza, le condotte punite nell’ambito dell’attività di asseverazione sono: l’esposizione di informazioni false, l’omissione di informazioni rilevanti sui requisiti tecnici del progetto di intervento e sulla effettiva realizzazione dello stesso e la falsa attestazione circa la congruità delle spese.

Generalmente, l’individuazione delle false informazioni non desta particolari problemi qualora le informazioni attengano a dati, misure, qualità, tipologia e consistenza degli interventi o degli edifici sui cui gli interventi stessi vengono effettuati, elementi questi tutti oggettivamente misurabili.

Ben più complessa invece è l’individuazione della condotta incriminata qualora non si tratti di dati fattuali, ma di valutazioni che il soggetto attivo è chiamato a rendere, come ad esempio, la classificazione sismica di un edificio ante intervento e post-intervento, la classe di rischio e gli effetti di mitigazione del rischio.

In tutti questi casi si parla di falso valutativo, poiché la falsità non attiene ad un dato fattuale, ma ad una valutazione espressa da un essere umano.

Al riguardo, vengono in soccorso gli stessi canoni elaborati dalla giurisprudenza in materia di false comunicazioni sociali, ed in particolare:

il criterio del “vero legale”, secondo cui non si incorre in falsità allorquando il dichiarato risponda integralmente ai criteri di legge che regolano la materia; e

il criterio della ragionevolezza, in virtù del quale è punibile sola la dichiarazione falsa che si discosti dai criteri redazionali normativamente previsti per ragioni non razionalmente spiegabili.

Proprio a quest’ultimo criterio si rifà la Suprema Corte di Cassazione (con la sentenza n. 22474/2016) laddove ha ritenuto sussistente, ai fini dell’applicazione del delitto di false comunicazioni (sociali), il falso valutativo nel momento in cui “l’agente, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, se ne discosti consapevolmente e senza fornire adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni”.

In altri termini, il tecnico abilitato risponderà penalmente del reato in discorso laddove, da un lato esponga dati (falsi) in quanto oggettivamente difformi dalla realtà, ovvero dall’altro compia una valutazione applicando criteri, regole e principi tecnici e/o giuridici difformi da quelli individuati dal Legislatore e dalla Pubblica Amministrazione e qualora questi ultimi non lascino un libero margine di discrezionalità, essendo l’interpretazione univoca ed immediata.

Filippo Nava – DSTeam Avvocato Penalista